di Raniero Pirlo

Il "bimbo di Monopoli": ecco come si è arrivati a ricostruire il genoma umano più antico d'Italia
MONOPOLI – A pochi passi dal mare di cala Porto Rosso, lungo la costa sud di Monopoli, una piccola cavità ha custodito per 17mila anni un segreto: lo scheletro di un bambino vissuto nel Paleolitico Superiore, oggi ritenuto una delle testimonianze più significative della preistoria italiana.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

I suoi resti, rinvenuti nella Grotta delle Mura, sono stati al centro di uno studio pubblicato nel settembre scorso sulla rivista “Nature communications” e condotto dalle Università di Siena, Firenze e Bologna, che ha portato alla ricostruzione del più antico genoma umano mai ottenuto in Italia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La ricerca ha raggiunto così l’importante risultato di restituire i dettagli della breve vita di quello che è stato definito il “bimbo di Monopoli”: dal colore degli occhi e della pelle, alle origini dei genitori fino alle cause della sua morte precoce, riuscendo anche a mettere in evidenza preziosi particolari della popolazione che abitava la Puglia a quell’epoca.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Noi abbiamo avuto la possibilità di parlare con due degli autori dello studio: Alessandra Modi del dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze e Owen Alexander Higgins del dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

È stata l’occasione per approfondire quella che può definirsi una ricerca straordinaria, che si inserisce nel solco dell’eredità preistorica della Puglia già famosa per ritrovamenti quali quelli dell’“Uomo di Altamura” e della “Donna di Ostuni”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Nell’immagine di copertina la ricostruzione digitale del volto del bimbo di Monopoli effettuata da Stefano Riccci dell’Università di Siena

Partiamo dall’inizio: quando è stato rinvenuto lo scheletro del bimbo?

Nel lontano 1998. Fu il team di Mauro Calattini, professore dell’Università di Siena, a scoprire in ottimo stato di conservazione lo scheletro, all’interno della Grotta delle Mura di Monopoli. Tuttavia soltanto oggi, grazie ai notevoli progressi nel campo della ricerca genetica, si è riusciti a ricostruire il genoma.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

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Lo scheletro del bimbo di Monopoli nella foto di Mauro Calattini/Nature Communications

A quale epoca può essere fatta risalire la sepoltura?

La datazione al radiocarbonio ha collocato lo scheletro nel Paleolitico Superiore, facendolo risalire a circa 17mila anni fa. La sua ottima conservazione è dovuta a una combinazione di fattori: ad esempio il suolo poco acido ha evitato il rapido deterioramento delle ossa. Poi l’ambiente protetto e chiuso della grotta ha contribuito a isolare i resti dagli eventi climatici e da interventi esterni, come il passaggio di animali o le attività umane, preservandone la quasi totale integrità.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E allora, che cosa possiamo raccontare della breve vita del bimbo?

Va detto che grazie allo studio dei denti siamo riusciti a calcolare con una certa precisione la sua età, che era di circa 16 mesi. Purtroppo il bambino ebbe difficoltà: affrontò ben nove momenti di stress fisiologico, già durante la gestazione. È possibile che questi episodi siano legati alla patologia congenita di cui era probabilmente affetto: la cardiomiopatia ipertrofica. Abbiamo infatti riscontrato nel DNA un paio di mutazioni genetiche puntiformi che sono solitamente associate a questa malattia ereditaria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Riguardo alla sue caratteristiche fisiche?

Aveva molto probabilmente la carnagione scura, i capelli ricci e neri e gli occhi azzurri. Un aspetto che a primo impatto potrebbe sembrarci inusuale, vista l’attuale fisionomia degli abitanti della Puglia. In realtà queste erano qualità fisiche piuttosto diffuse nel Paleolitico Superiore: molti campioni della stessa epoca ritrovati in Europa centrale, occidentale e meridionale condividono queste caratteristiche. Lo stesso colore azzurro degli occhi apparteneva a molti cacciatori-raccoglitori del tempo e il colore scuro della pelle era poi quasi la regola. La carnagione chiara delle attuali popolazioni si diffuse solo nel Neolitico, quindi 6mila anni fa.

Sulla popolazione a cui apparteneva che cosa sappiamo?

Abbiamo riscontrato forte corrispondenza fra le sue caratteristiche con quelle delle popolazioni dell’Europa balcanica. I dati ci suggeriscono che questi gruppi migrarono dall’Est attraversando le Alpi, per poi dirigersi verso il Sud Italia. Questo movimento migratorio generò un fenomeno noto come “migrazione a collo di bottiglia” (bottleneck migration): un processo in cui un ristretto numero di individui dà origine a una nuova popolazione. Infatti secondo il nostro studio sembrerebbe che i nuovi arrivati balcanici non si mischiarono ma di fatto sostituirono le popolazioni già presenti in Puglia, le quali finirono per scomparire.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Parliamo dei genitori del bimbo.

Sempre studiando i denti, attraverso l’analisi degli isotopi dello stronzio, abbiamo compreso che la madre è rimasta stabile nella stessa area della Puglia durante l’ultimo periodo della gravidanza. Un dato rilevante poiché all’epoca i gruppi di cacciatori-raccoglitori erano generalmente nomadi. Forse si trattava quindi di una popolazione stanziale. É poi emerso che il padre e la madre erano imparentati, probabilmente erano cugini di primo grado. Un dato sorprendente, visto che nel Paleolitico era raro che si formassero legami così stretti all’interno dello stesso gruppo: si tendeva infatti a unirsi con individui esterni alla propria cerchia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Quali prospettive apre questa ricerca per la conoscenza del nostro passato?

Enormi. Al momento abbiamo potuto analizzare solo ciò che le conoscenze e le tecnologie attuali ci permettono di interpretare, tuttavia con il progresso delle tecniche mediche e statistiche sarà possibile in futuro rileggere questo stesso genoma e ottenere nuove informazioni. Man mano che progrediamo nella capacità di interpretare i dati potremo comprendere nuovi elementi sulla vita del “bimbo” e quindi della popolazione del Paleolitico Superiore nel territorio dell’Italia meridionale. In un futuro non troppo lontano ci auguriamo quindi di comprendere meglio aspetti quali la dieta, le modalità di svezzamento o l’esposizione a eventuali sostanze inquinanti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 


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  • Giovanni - Ma gli studiosi pugliesi o baresi non sapevano niente di questa scoperta del 1998? Occorrevano esperti da Bologna, Firenze ecc.? I nostri erano in ferie? Qualcuno me lo può spiegare? Grazie
  • Rosi - Articolo spiegato molto bene. Molto interessante scoprirne la storia . Scritto in maniera comprensibile . Grazie e grazie per le informazioni . 🙏🙏🙏🙏🙏 Gradirei ulteriori informazioni .
  • Lilly - Io sapevo che gli etruschi si chiamano anche rasseni. Mi ha incuriosito il fatto che la Russia in russo si dice Rassia! I rasseni (russi, slavi) sarebbero gli etruschi! La ricerca sopra menzionata conferma il fatto che la popolazione del Sud Italia è stata sostituita dalla popolazione balcanica (slava) con la carnagione chiara. Siamo sempre lo stesso popolo, siamo cugini!Io sono slava, serba!


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